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Calcio Dilettanti

Intervista a Federico Rossi: Io, Zico e un calcio che non esiste più

Intervista a Federico Rossi: Io, Zico e un calcio che non esiste più

"Non mi piace molto parlare passato, ma a chi mi chiede rispondo volentieri". Basso profilo, modi pacati, mai sopra le righe, una moglie con cui si è sposato giovanissimo e due figli di 28 e 24 anni, una bella casa a Fidenza: questo è Federico Rossi …

…. 52anni, un lavoro nel settore allarmi antifurto e uno come rappresentante di manti erbosi in erba sintetica, a cui si aggiunge l’hobby di allenare una squadra di calcio in Promozione, il Soragna. Ma soprattutto un passato da terzino con Sampdoria, Pisa, Avellino, Fiorentina e Udinese.

Tifoso interista, Rossi conserva gelosamente due album pieni di foto e ritagli di giornali anni ’70-’80, quando correva sui più importanti campi di calcio. Due album di ricordi di questo terzino “tedesco” come fu definito all’epoca. Un “aggettivo” in cui Rossi si rivede. “Ero veloce, tecnicamente sono migliorato negli anni – spiega – Di solito marcavo i giocatori più veloci, i Laudrup o i Marocchino della situazione. E non tiravo indietro la gamba”.

Tutto cominciò dalla Sampdoria. “Mi portò a Genova Armando Onesti (spezzino ma fidentino di adozione ndr), il primo grande preparatore atletico italiano: a lui e Bersellini devo tutto – spiega Rossi, che ricorda un compagno in particolare – Ho diviso la camera 4 anni con Alviero Chiorri, un giocatore fortissimo che ha purtroppo gestito male le sue qualità, ma che a 16 anni faceva impazzire parecchi difensori quotati. E a quei tempi c’era “nonnismo”: se un ragazzino giocava era perchè valeva”. Altri tempi, in cui c’erano lunghi ritiri, come quelli “terribili” dei tempi di Pisa: “Il signor Anconetani ci mandò in ritiro 40 giorni – ricorda Rossi – Mi ero appena sposato e potevo vedere mia moglie qualche ora tra il lunedì e il martedì, più il mercoledì pomeriggio quando eravamo liberi e ci trovavamo con le nostre compagne presso un laghetto vicino ai campi. Ti vedevano di buon occhio se eri sposato, ma il sesso era tabù: dal venerdì alla domenica non se ne parlava proprio”.

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Sacrifici che hanno però pagato, ed è arrivata la A, con l’Avellino del presidente Sibilia “uno che, come Anconetani, di calcio ne capiva davvero – afferma con convinzione – Due presidenti d’altri tempi, che andavano a vedere i giocatori di persona”. Ed è arrivato l’esordio in una cornice indimenticabile, il 13 settembre 1981, all’Olimpico contro la Roma, con il compito di marcare Bruno Conti. Roba da perdere il sonno: “Sensazioni della vigilia uniche, ma andò bene: pareggiammo 0-0. E’ stato un grande anno, eravamo un gruppo di ragazzi giovani provenienti dalla B e affamati”. Dopo l’anno in Puglia il salto alla Fiorentina: “Una grande squadra con giocatori quali Antognoni, Daniel Bertoni, Giovanni Galli, Graziani, Monelli e Passarella, ma con De Sisti ebbi poco spazio”. Così, spinto dalla voglia di essere titolare, alla chiamata dell’Udinese di Vinicio (“un modello per me” ha detto Rossi) non ha saputo dire di no. Era l’Udinese di Zico, del quale è fin troppo facile snocciolare ricordi e parole di ammirazione sincera. “Peccato sia arrivato in Italia tardi – racconta Rossi – Zico era un fuoriclasse anche nella vita: la sua umiltà e la sua serietà gli permisero di inserirsi al meglio in un contesto come Udine. Giocava da attaccante e ovviamente il gioco era impostato su di lui. Le punizioni? In allenamento, pur dichiarando sempre al portiere dove avrebbe tirato, spesso era gol. Con noi compagni di squadra poi era straordinario. Ricordo con piacere le feste di carnevale a casa sua”.

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In Friuli è arrivato anche i primo e unico gol in A di Rossi, l’11 novembre 1984: Udinese-Atalanta 2-0, al 7′ della ripresa: “Un corner di Edinho dalla sinistra, io corro sul secondo palo, salto e segno di testa. La mia esultanza? Pacata. Sono fatto così”. Poi l’infortunio al ginocchio che mise fine alla sua stagione con troppo anticipo: “Mi feci male contro la Juve, in uno scontro con Briaschi. Che rabbia! L’unico ricordo positivo è il grande conforto avuto da Platini, un “figlio di buona donna” in campo, ma fuori davvero disponibile. Quando sono andato a curarmi a Saint-Etienne mi indicò i posti dove mangiare e passare il tempo”. Un brutto infortunio che non ha impedito a Rossi di proseguire a buoni livelli, fino a 32 anni, quando ha deciso di scendere nei dilettanti e riavvicinarsi a casa. Senza rimpianti: “E’ vero, se fossi nato 20 anni dopo avrei guadagnato molti più soldi, ma mio padre, che giocò in B, mi diceva altrettanto quindi non posso lamentarmi, quindi sono contento così. L’unico rimpianto è non essere andato alla Roma. Con i metodi di Liedholm mi sarei trovato benone, avrei vinto lo scudetto, e… beh, la difesa Rossi-Di Bartolomei-Vierchowod-Nela non sarebbe stata niente male”.

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LA CARRIERA DI FEDERICO ROSSI

Federico Rossi è nato a Fidenza il 12 settembre 1957. Ruolo difensore, precisamente terzino fluidificante, fisico robusto (1,81 per 78 kg), ha iniziato la carriera da calciatore a Salsomaggiore. A 16 anni, fortemente voluto dal tecnico parmense Eugenio Bersellini e il suo vice Armando Onesti il salto di qualità con il passaggio alla Sampdoria, dove militerà sei anni, di cui due, dal 1977 al 1979, da titolare nella prima squadra in Serie B (53 presenze). Con la “primavera”, a inizio 1977, ha vinto il Torneo di Viareggio. Nell’estate del 1979, fresco di matrimonio con la moglie Roberta, lo storico presidente Romeo Anconetani porta Rossi al Pisa, sempre in B, dove gioca due ottime stagioni (58 presenze e 2 reti) che valgono il salto in Serie A, all’Avellino del presidente Antonio Sibilia e dell’allenatore Vinicio. L’eccellente stagione in Irpinia (29 presenze) lo fa diventare un uomo mercato: dopo essere stato vicino alla Roma nell’estate 1982 passa alla Fiorentina. In Toscana sotto la guida di Picchio De Sisti non trova però la consacrazione, così dopo due anni e 27 presenze, nel 1984 passa all’Udinese, dove ritrova Vinicio. Rossi comincia bene, ma dopo 10 giornate e 1 gol, un grave infortunio al ginocchio lo ferma. A Udine tuttavia Rossi rimarrà quattro anni, fino al 1988, tre in A e uno in B. L’ultimo anno da professionista è al Taranto nel 1988/89, poi la chiusura nei dilettanti, prima a Imola, poi a Fidenza e infine a Busseto, dove a 35 anni nel 1992 comincerà ad allenare. Da quattro stagioni a questa parte siede sulla panchina del Soragna, attualmente impegnato nel campionato di Promozione.

(L’articolo è tratto dal settimanale “Il Nuovo di Parma”, n. 1 del 25 febbraio 2010)

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