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Calcio Serie A

Parma, quando la cura si chiama ritiro. Pro e contro secondo i grandi ex gialloblù

Parma, quando la cura si chiama ritiro. Pro e contro secondo i grandi ex gialloblù

La scorsa settimana il Parma aveva scelto il ritiro a Salsomaggiore per trovare la soluzione ai propri problemi. E in effetti sono arrivate due vittorie consecutive contro Sampdoria (in casa) e Bari (fuori casa).

Una soluzione che da sempre divide e non sempre ha portato alla risoluzione dei problemi di una squadra di calcio. Soli insieme ai compagni e allo staff, lontani (fisicamente, si intende) dalle famiglie, i giocatori, chi più chi meno, hanno sempre sofferto la “punizione” anche se può capitare, come è successo alla Roma di Ranieri di recente, che la società faccia marcia indietro. Di certo ora, tra cellulari del terzo millenio, computer portatili e playstation, la vita nei ritiri non è più quella degli anni ‘80 e ‘90, quando le sale degli hotel erano teatro di file ai telefoni, partite a carte e tanto riposo. Lo confermano alcuni grandi ex gialloblù contattati da SportParma, che, oltre a parlare dei pro e dei contro, raccontano anche qualche interessante aneddoto.

L’ex capitano del Parma Giuseppe Cardone, alla vigilia del doppio spareggio-salvezza con il Bologna del 2005 che decretò la salvezza dei crociati e la retrocessione dei rossoblù, pensò che in quel difficile momento fosse la soluzione giusta. «Premesso che in certi paesi, come l’Inghilterra, il ritiro non esiste, non sempre è una decisione “punitiva” – ha spiegato l’ex difensore – In quel momento era inevitabile, in quanto ci attendeva la partita della “vita o morte calcistica”, e fui io stesso da capitano a proporlo a Carmignani. Il ritiro durò circa 15 giorni e alla fine andò tutto bene». A Cardone il ritiro, come conferma lui stesso, non pesava. «I momenti di relax li passavo a dormire, guardare la tv o al limite a fare quattro chiacchiere in camera di qualcuno – spiega – Non sempre i giocatori però lo recepiscono in maniera positiva, e se il gruppo ha difficoltà di dialogo non è certo il ritiro la soluzione, anzi i problemi vengono enfatizzati».

Più drastico invece Antonio Benarrivo, ora imprenditore edile a Brindisi ma sempre interessato alle sorti della squadra dove ha giocato dal 1991 al 2004. «Quando le cose vanno male i casi sono due: o si cambia l’allenatore o si va in ritiro. E nel caso di questo Parma, che a inizio stagione ritenevo squadra da primi 6 posti, si doveva fare qualcosa. L’Udinese è la prova che basta una vittoria per lasciare alle spalle le incertezze – spiega il recordman di presenze in A del Parma – Se si lavora bene le cose migliorano. E non ci si annoia di certo tra faccia a faccia e riunioni tecniche. Le ore libere? Beh, se oggi c’è la playstation una volta c’era il Gameboy, ma io preferivo leggere un libro di Ken Follet o riviste di nautica».

Sostanzialmente favorevole anche Luigi Apolloni. «E’ chiaro che un ritiro è sempre un ritiro, e, specie chi tiene famiglia, preferisce evitarlo, ma in certe occasioni la società chiede responsabilità e tenere i giocatori lontani dalla pressioni può essere la soluzione – ha detto l’ex allenatore di Modena e Grosseto – Si sta a contatto con i compagni e spesso si trova un supporto morale. Personalmente ho avuto solo esperienze positive, come nella stagione della promozione in A quando, dopo una striscia di risultati negativi ci guardammo negli occhi e arrivò la svolta».
E’ chiaro che se non arrivano spiegazioni però le scatole “girano”, come ha confermato Luca Bucci, il quale tra Parma, Perugia e Torino si è trovato più volte in questa situazione. «Il ritiro a volte è un esigenza e nel caso del Parma di oggi credo i giocatori abbiano compreso che la decisione non è punitiva ma un incentivo per stare assieme e ricompattarsi – ha detto l’ex portiere – Quando ero a Torino mister Camolese ci mostrò un video in cui le immagini mettevano in evidenza i nostri stati d’animo e ci fece bene. Certo, se ti puniscono senza darti spiegazioni non c’è decisione peggiore, e io l’ho provato sia a Torino con Ulivieri che a Perugia». Come Bucci è passato dall’“inferno” di Gaucci anche Fausto Pizzi, che in un’intervista a noi rilasciata lo scorso marzo raccontò quanto i ritiri fossero inevitabili: «Se perdevi due gare di fila non scampavi – dichiarò – Lo trovavamo scritto sulla lavagna nello spogliatoio e partivamo».

Altri tempi e altri metodi nei primi anni ‘80, quando il fidentino Federico Rossi giocava al Pisa, per il “vulcanico” (e compianto) presidente Anconetani «ci mandò in ritiro 40 giorni, nei quali ci si incontrava quasi di nascosto con mogli e fidanzate il mercoledì pomeriggio in un laghetto vicino ai campi» o gli anni ‘60 e ‘70 quando giocava come portiere il sempreverde Lamberto Boranga «era più dura ma andavamo in ritiro raramente, e soprattutto in strutture ben diverse da quelle di oggi, che consentono di lavorare sul campo molto meglio, a maggior ragione se lontani dalle pressioni». A volte si dice che “si stava meglio quando si stava peggio” ma forse i giocatori del Parma possono considerarsi “fortunati”.

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