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Le controversie di un’esultanza

Le controversie di un’esultanza

Sono trascorsi tre giorni dalla vittoriosa trasferta di Salerno, ma le polemiche per l’esultanza di Jacopo Dezi, al 33° minuto del primo tempo della sfida dell’Arechi (0-1), continuano a generare pensieri negativi (per usare un eufemismo) tra la tifoseria.
La corsa sotto la curva con le mani portate alle orecchie fa parte di una mutlitudine di esultanze e gestualità controverse, che nella maggior parte dei casi, le tifoserie di tutto il mondo, interpretano e metabolizzano allo stesso modo.
Facciamo alcuni esempi: il “ciuccio” di Totti, le capriole di Oba-Oba Martins, il violino di Gilardino o l’arrampicata sulla “ramata” di Barbuti, generano un’euforia incontenibile tra i propri tifosi; momenti che restano indelebili nella mente di migliaia di persone e che si tramandano di generazione in generazione, dentro e fuori da un campo da calcio.

Poi ci sono altri tipi di esultanze, che irritano e vengono interpretate come mancanza di rispetto o, addirittura, come messaggi di sfida. Consuetudini che sono entrate a fare del Dna del calcio e di tutto il movimento che ruota attorno.
In questa sfera di esultanze, quelle che normalmente fanno arrabbiare la stragrande maggioranza dei tifosi (in curva, in tribuna o sul divano), rientra sicuramente il gesto di portare le mani alle orecchie e dirigersi verso la curva dei propri tifosi. I propri, non gli avversari, perché in quest’ultimo caso si tratterebbe di sfottò e provocazione.

Torniamo al nocciolo del discorso: l’esultanza di Dezi. Il ragazzo, nel post partita di Salerno, si è subito giustificato dicendo che il suo gesto «non era rivolto ai tifosi ma a me stesso, perché devo dare di più». Una giustificazione che può avere un senso e una logica, soprattutto se si ripercorre la difficile stagione in maglia crociata del centrocampista 26enne, la cui media voto è al di sotto della sufficienza (e delle attese).
Tutto questo per dire che ognuno è libero di comportarsi come vuole, di esultare o non esultare, di provocare o infiammare, purché alla fine si prenda sempre le proprie responsabilità. Perché certi gesti generano sempre gli stessi effetti e le stesse reazioni tra il popolo “pallonaro”.

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